Reinhard Kleist e la sua graphic novel “Il Pugile” tra gli studenti romani

Presentazione di Reinhard Kleist

In occasione della Giornata della Mermoria, Reinhard Kleist ha presentato la sua graphic novelIl Pugile”, la storia vera di Hertzko Haft, ad alcuni studenti romani. La prima tappa del minitour che, in una settimana, lo porterà in  giro per l’Italia, si è svolta all’Auditorium del Goethe Institut di Roma. Ne è nato un botta e risposta interessante, moderato da Anna Becchi, la traduttrice del libro, che ha permesso di conoscere il dietro le quinte di un lavoro fortemente voluto anche dal figlio di Haft, Alan Scott, dal cui libro ha preso spunto Kleist per realizzare il suo lavoro.

L’idea è nata un giorno che mi sono recato nella mia libreria preferita e sono rimasto attratto dalla copertina del libro di Alan Scott Haft”, ha raccontato Kleist, “non capivo come l’olocausto potesse legarsi alla boxe. Ho comprato il libro, ne sono rimasto folgorato, soprattutto dall’amore di Haft per Lea, che è poi il motore di tutta la prima parte della sua vita”. I libri di Kleist sono sempre legati a delle biografie. “Sono affascinato soprattutto dal lavoro di ricerca attraverso il quale si viene sempre a conoscenza di così tanti aspetti differenti dei personaggi, alcuni dei quali poi non vengono nemmeno inclusi nei libri. Il filone è iniziato con il successo della graphic novel dedicata al cantante Johnny Cash, poi è stata la volta di Fidel Castro e della maratoneta somala  Igiaba Scego Samia, morta su un barcone per raggiungere l’Italia e così sono andato avanti”.

Prima di iniziare il lavoro su Haft i dubbi erano comunque tanti. “All’inizio avevo delle perplessità soprattutto nei confronti del protagonista, un personaggio per molti aspetti non sempre così positivo. E poi non sapevo se avrei saputo sceneggiare le due parti, completamente diverse, della sua vita: prima la boxe come strumento per la sopravvivenza in Germania e poi la boxe per fare carriera in America. Riflettendo però mi sono reso conto che quei miei dubbi rappresentavano proprio i punti di forza della storia. Prima è stata pubblica una striscia a puntate su un quotidiano tedesco e poi l’ho rielaborata per il libro”. I temi affrontati da Kleist, oltre a essere molto attuali, sono spesso parecchio crudi e difficili. “Ho imparato ad affrontare il mio lavoro distinguendolo in due fasi: nella prima cerco di non lasciarmi deprimere dalle singole storie e di costruirmi una sorta di muro che sia in grado di proteggermi; la seconda, quando vedo il libro stampato, mi odio per gli errori che trovo o per le parti che avrei potuto rendere meglio; poi mi confronto con i miei amici e colleghi e allora vivo un paio di settimane come se mi sentissi il più grande artista del mondo. Dopodiché torno con i piedi per terra”.

Difficile, per Kleist, citare il suo lavoro preferito. “Ogni libro è come se fosse un altro dei miei figli, non è facile scegliere il migliore. Però posso dire che con Clash mi sono divertito di più, mentre le difficoltà maggiori le ho incontrate per l’atleta somala”. La graphic novel è un genere relativamente nuovo. “In Germania si è iniziata a conoscere intorno al 2000. Graficamente non si differenzia molto dal fumetto, la differenza la fa il contenuto molto serio. Per me ha un grande potenziale di comunicazione”.

Infine, la sua esperienza personale. “Volevo studiare arte, ma mio padre non era d’accordo, aveva timore che poi avrei voluto pochi sbocchi dal punto di vista professionale. Allora abbiamo trovato un compromesso e ho studiato graphic design. Adesso è molto orgoglioso di me. Io comunque fin da piccolo, con un gruppo di amici, ho sempre disegnato fumetti e quel confronto con i miei coetanei è stato quasi più importante del programma di studi. Oggi, che lavoro in uno studio con altri tre colleghi, mi rendo ancora conto che il continuo confronto con loro è fondamentale per la crescita di ognuno”.

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Anna Becchi e Reinhard Kleist durante la presentazione