Una proposta interessante, cui dedicare almeno un week end, nell’Altopiano silano pensando al noto Cammino di Santiago di Compostela. Se il pellegrinaggio iberico conduce ogni anno centinaia di fedeli sino all’Atlantico laddove sarebbe arrivata la predicazione di san Giacomo apostolo, il cammino nella Sila è quello dedicato ad uno dei più noti figli dell’Altopiano silano: Gioacchino da Fiore primo riformatore dell’Ordine Cistercense descritto nel “Paradiso” della ”Divina Commedia” dantesca come “lo calavrese di spirito profetico dotato”. Ad organizzarlo, in quel Parco Nazionale della Sila che aspetta ancora la propria valorizzazione turistica ma anche la tutela dei suoi boschi considerati i numerosi alberi che ancora vi vengono tagliati, l’Onlus “New Day” che col proprio “Progetto Gedeone” che propone un interessante percorso nel verde della Sila, fra località poco note ai normali itinerari turistici. Lo stesso “Cammino di Gioacchino” che nell’autunno si arricchisce dei vari ed indimenticabili colori della Sila può essere percorso anche come un vero e proprio viaggio fra le numerose prelibatezze della gastronomia calabrese.
Punto di partenza del cammino gioacchimita è la chiesa di Santa Maria Verdana di Nicastro. Secondo la tradizione, la costruzione chiesa collegata all’Ordine florense sarebbe stata richiesta addirittura dalla Madonna che sarebbe apparsa in sogno ad una figlia di Federico II di Svevia. Se la facciata esterna può ingannare per la sua semplicità, è l’interno dell’edificio sacro con la sua unica navata ad affascinare i visitatori. Fra le altre opere d’arte, infatti vi si ammira un dipinto della Madonna detta di Costantinopoli raffigurata fra santa Domenica e sant’Eligio che è conosciuta anche come la Madonna dei “Cucchiareddi”. I “cucchiareddi” sarebbero i sigilli a forma di conchiglia, o piccoli cucchiai, della bolla papale con cui Paolo III nel 1542 riconosceva l’indulgenza a coloro che visitano la chiesa nella prima domenica dopo Pasqua. Partiti da Nicastro, la prima tappa da percorrere – su un percorso di 27 Km che a piedi si potrebbero percorrere, secondo “Google Maps”, in poco più di 6 ore – è quella che ci porterà a Carlopoli dove si possono ammirare gli imponenti ruderi di quella che fu l’abbazia di Corazzo e da dove il cammino continuerà verso San Giovanni in Fiore toccando le località di Tiriolo che è la porta meridionale del Parco nazionale della Sila, soffermandosi a Parenti con le sue note patate ed il gustosissimo pane e la frazione di Bocca di Piazza nei pressi del lago Ampollino. Dallo stesso lago l’itinerario continua verso Lorica e San Giovanni in Fiore, dove nacque l’Ordine florense, fondato dall’abate Gioacchino. Nell’area del Golfo di Sant’Eufemia, oltre al pescato cucinato in una pluralità di ricette, davvero prelibata e famosa è la “nduja” composta dalle parti più povere e più grasse del maiale conservato grazie all’abbondante peperoncino rosso, la cipolla di Tropea e le olive utilizzate in una pluralità di ricette e conserve.
Arrivati a Carlopoli, l’aria frizzante che vi si respira annuncia che siamo già arrivati ad una buona altitudine. Il borgo, con poche migliaia di abitanti un tempo votati prevalentemente alla pastorizia ed all’ agricoltura, racchiude non poche sorprese fra le sue piazze e viuzze in cui il tempo sembra davvero essersi fermato. La tappa del percorso sono i ruderi dell’abbazia di Corazzo. Si tratta di un antico monastero benedettino fondato nell’XI secolo che al tempo di Gioacchino da Fiore era, però, passato all’Ordine cistercense. Fra i ruderi della stessa abbazia sono perfettamente riconoscibili l’area dell’ampia chiesa ma anche altre zone del monastero che, come attestano le fonti storiche, fu veramente imponente. Il Monaco celichese, prendendo i voti nello stesso monastero, ne divenne ben presto abate scrivendovi buona parte delle proprie opere teologiche e filosofiche. Era il 1188 quando sollevato dall’incarico di abate, Gioacchino avviò la prima riforma dell’Ordine cistercense fondando con alcuni compagni l’Ordine florense. A caratterizzare il pensiero teologico di Gioacchino una lettura trinitaria della storia con la profezia dell’imminente della cosiddetta età dello Spirito con la quale si sarebbe arrivati ad un rinnovamento del Cattolicesimo attraverso un ritorno alla povertà delle origini e l’elezione di un “papa angelico” in cui molti studiosi riconoscono Celestino V, il papa “del gran rifiuto” come lo definisce Dante Alighieri nella “Divina Commedia”. Sono le castagne ed i funghi i prodotti in tali boschi ad essere utilizzati in varie ricette. Se dalle castagne vengono prodotti numerosi dolciumi ed una farina che, per le famiglie più povere, sostituiva quella prodotta dal grano, oltre che in varie conserve particolarmente i boleti e le amanite cesaree, conosciute in dialetto come “vuvite”, esaltati particolarmente nelle “tielle con le patate”. Dopo una leggera sbollentatura, gli stessi funghi vengono cotti in una teglia oleata in cui sono stati posti a strati alterni con le patate affettate. Bagnato il tutto con un po’ di vino bianco, basta aggiungere un po’ di aglio, pepe nero e qualche foglia di alloro per ottenere un risultato strepitoso.
52 Km ed 11 ore abbondanti di cammino, la nostra fonte è ancora “Google Maps” è la distanza fra Carlopoli e San Giovanni in Fiore che, con i suoi 1047 msm ed i suoi 1700 abitanti, è la città italiana con più abitanti ad un’altitudine superiore ai 1000 metri. Se la primitiva abbazia, distrutta da un incendio, era collocata in località Jure Vetere, è l’abbazia florense da anni al centro di lunghi lavori di restauro l’ultima tappa del cammino gioacchimita. Intorno ad essa, nel corso dei secoli sorse il centro storico cittadino con i suoi caratteristici scorsi, come il famoso arco normanno, ed i numerosi palazzi quasi tutti realizzati dai valenti scalpellini silani. Secondo la storia, ci vollero ben 14 anni di lavoro per costruirla così come l’aveva progettata sotto la guida di Luca Campano, monaco poliedrico ed architetto che, prima di diventare arcivescovo di Cosenza, fu il primo successore di Gioacchino alla guida dei Florensi. Ad attirare l’attenzione dei visitatori già dall’esterno è la facciata tardo romanica caratterizzata da una finestra circolare esalobrata circondata da tre piccole finestre circolari quadrilobate e tre monofore (che nel numero richiamano il pensiero trinitario di Gioacchino). L’interno, in stile romanico a pietre nuda, è privo non solo di intonaco ma anche di dipinti e sculture per rispetto alla rigide Regola florense per la quale nelle chiese “non ci sia nulla che ostenti superbia, vanità o possa corrompere la povertà, custode di virtù”. Unica eccezione a tale regola l’altare barocco, capolavoro di arte lignea, che nel1740 fu realizzato dal maestro Giovambattista Altomare da Fogliano e dedicato a san Giovanni Evangelista patrono dell’Ordine florense e di San Giovanni in Fiore. Nei locali di quella che fu l’antica abbazia, dal 1984, è ospitato il Museo demologico dell’economia, del lavoro e della storia sociale silana che con i propri reperti consente un intenso viaggio nella memoria silana. Se le varie provviste servivano ad affrontare il duro inverno silvano conservando al meglio i prodotti agricoli, estremamente noto è il distillato delle vinacce residue delle vinificazione da cui si produce “la paesanella” e, fra i dolciumi, “la pitta impagliata”, dolce tipico natalizio, prodotto riempendo la sfoglia di pasta con uva passa, noci e mandorle tritate aromatizzati con marsala, cannella e bucce di arance tritate.
Francesco Rizza